Ci sono momenti dedicati al riassetto dei ricordi, al riordino del passato da catalogare e archiviare in una serie di cassetti distinti per oggetto, alcuni contenenti foto e diapositive, altri documenti e cartoline senza trascurare le lettere già filtrate; per poi passare ai cimeli sportivi, medaglie e coppe di tornei estivi, pergamene e targhe fino ai gagliardetti delle squadre militate e di quei, pochi, scambiati.
Insieme a quello che mi ricordava gli anni del settore giovanile e di un campionato di Promozione disputato nel 1977/78, al termine del quale si spensero tutte le velleità di carriera; a quella della squadra del borgo storico della mia città con la quale riuscii a ritagliarmi un decennio di passione e di sano dilettantismo coronato dalla fascia di capitano, vittorie e promozioni che mi portarono anche alla esperienza di allenatore; a quello della squadra amatoriale quasi imbattibile che vinse due campionati disputando tre finali consecutive, riapparve il gagliardetto del “ Cruzeiro Esporte Clube – Belo Horizonte “ .
Più piccolo rispetto agli altri, di colore rosa ormai sbiadito con i caratteri bianchi delle scritte, in alto al centro “Tri- Campeaò 1965-1966- 1967 “, sul bordo bianco superiore “Campeaò Brasilerio de 1966 “, in ordine di data i 14 campeonatos vinti, elencati dal centro verso il vertice basso del gagliardetto. In un attimo riaffiorarono tutti i ricordi di quell’anno, il 1983, quando Luis Alfredo Mendoza Benedetto, meglio conosciuto come Mendocita , tuttora considerato dalla stampa nazionale il più grande calciatore venezuelano di tutti i tempi, in segno di amicizia mi regalò quel gagliardetto che aveva ricevuto dal capitano del Cruzeiro .
Volevo scrivere di Mendocita da alcuni mesi, dopo aver saputo che era morto il 29 Aprile 2024, all’età di 78 anni. Aveva esordito in nazionale a 16 anni, disputato 8 Libertadores, 3 Coppa America, vinto 4 campionati nazionali e 1 Coppa del Venezuela.
Centrocampista, indossava il numero 10, si è ritirato all’età di 41 anni. Nel 1983 era venuto in Italia per frequentare il corso di allenatore a Coverciano in compagnia di illustri campioni, quali Sormani, Capello, Rocca, Benetti e Amarildo, e professori del calibro di Bearzot e Trapattoni.
A Pineto fu ospitato da Silvio Cappelletto, il Presidente che portò il Pineto Calcio ai grandi successi degli anni ’70, facendo la spola con Coverciano. Nel tempo libero si intratteneva con il nostro gruppo insieme ai figli Luis Enrique e Luis Carlos, in estenuanti e interminabili partite di calcetto, fino a tesserarsi con il Mutignano Calcio e disputare insieme il campionato di seconda categoria.
A pochi eletti, mostrava l’album dei ricordi che aveva portato con sé e che conteneva, tra le varie foto, quella con Pelè durante la partita Brasile – Venezuela, disputata nella fase eliminatoria del mondiale di calcio Messico ’70. Da lì iniziammo a realizzare che avevamo di fronte una leggenda del calcio e, con toni scherzosi e baldanzosi financo fanciulleschi, scomodando vortici cartesiani ed ellittiche interpretazioni, tra di noi montava il concetto che, giocando insieme a Mendocita per la proprietà transitiva o transitoria …… si poteva dire che avevamo giocato contro Pelè!!
Raccontare che era un piacere vederlo giocare sarebbe pleonastico, a 39 anni con quella naturalezza nel calciare, per la tecnica sopraffina, per l’istinto famelico sempre alla richiesta del pallone, spietato contro gli avversari fino all’ultimo minuto. Quando si giocava in trasferta, la conferma della sua presenza condita dai trascorsi calcistici, generava una spontanea e maggiore presenza di pubblico. E questo vanto, meglio questo orgoglio, di aver giocato insieme a Luis Mendoza, il quale in carriera aveva avuto la possibilità di sfidare nei perimetri di calcio anche campioni del calibro di Alfredo Di Stefano e Lev Jashin ci ha accompagnato per anni, appagando i nostri sogni e consolandoci del tramonto delle nostre velleità calcistiche che da tempo erano già naufragate. Vinse tutti i tornei estivi, era bravo anche nello scegliersi la squadra più competitiva.
Quel giorno, la vista del gagliardetto del Cruzeiro aveva generato in me una nuova epifania dei ricordi, una diversa architettura dei flussi della memoria che collegava in maniera circolare il calcio dei miti e delle leggende al calcio semplice, dilettante e smisurato delle periferie e della piccola provincia.
Chiamai Francesco, il nostro goleador dell’epoca, il quale non sapeva della sua scomparsa e iniziammo a ricordare sia la persona che le sue capacità balistiche; mi confessò che gli aveva regalato la maglia numero 2 del Brasile indossata da Luis Pereira nel 1972, conservata in ottime condizioni al riparo dai ripetuti e scellerati tentativi della moglie di disfarsene, inconsapevole del valore intrinseco e affettivo di quel cimelio che il marito aveva conservato per quarant’anni. Allegai la foto sia del gagliardetto che della maglia ad un ricordo di Mendocita postato sui social, insieme ad altre foto e immagini di repertorio catturati nel web e su YouTube, e all’unica foto di squadra di quel nostro campionato di seconda categoria.
In rete avevo trovato immagini e articoli sulla scomparsa di Mendocita che ricordavano le origini del nonno calabrese, che aveva giocato contro Pelè e avergli fatto tunnel, del rapporto confidenziale e di amicizia con Maradona, del tributo e riconoscimenti della stampa venezuelana che paventavano anche l’intestazione dello stadio di Caracas in sua memoria, del suo palmares e della sua carriera anche di allenatore e in seguito di diffusore dell’arte della pelota. Luis Mendoza aveva il calcio nelle vene, alla domanda ricorrente che gli ponevamo su come avesse voglia di giocare sui nostri campi malconci e in pozzolana, lui che aveva giocato nei campi sudamericani più prestigiosi, rispondeva che nel calcio non contano le categorie e il contesto, ma la passione che ci rende uguali.
Questo gagliardetto ritrovato, parafrasando la ricerca del tempo perduto, sembra solcare il tempo e lo spazio, dal tempio di “Eupalla” di Gianni Brera dove gli dèi danzano con il pallone portando con sé le gesta immortali a Mendocita, testimone di sfide leggendarie per arrivare a chi, con cuore intatto, continua a inseguire i sogni sui campi periferici e di speranza.
Come un vessillo sospeso nel tempo, questo gagliardetto ha attraversato i confini tra il mito e la passione, tra i grandi palcoscenici e i campi polverosi. Mendoza, testimone di epoche leggendarie, lo ha affidato al vento dei ricordi, perché nel calcio tutto ritorna, tutto si intreccia. Il passato nutre il presente, il sogno del dilettante risuona con l’eco dei campioni. Così il gioco resta eterno, in un flusso circolare che unisce ogni cuore che ama il pallone.
Non buttate i gagliardetti, potreste non avere la mia stessa fortuna, ma sicuramente in ciascuno di essi ritroverete il giusto valore e la vera forza del calcio.
“Palloni e pedali – Storie di grandi passioni italiane ” – Rudis Edizioni 2025